Quanto è bello raccontare la storia di Piovene Rocchette e, anche se di solito parliamo di eventi legati alla stagione estiva o al cinema all’aperto, ai corsi di yoga e via così, oggi ‘sconfiniamo’ in una terra molto speciale: facciamo un piccolo viaggio nel mondo dei motori, o meglio nel mondo dei motori Peugeot.
Proprio così, perché qui c’è di mezzo un pezzetto di storia di Piovene Rocchette ma che, di fatto, coinvolge tutta l’Italia. Sì, perché oggi siamo abituati ad avere una macchina, a vedere centinaia, migliaia, milioni di vetture circolare in tutto il mondo, ma quando è arrivata l’automobile in Italia?
Beh, la data era era il 2 gennaio 1893 e in quel freddo giorno la prima auto a ciclo Otto che venne messa in circolazione fu il modello Type 3 Peugeot.
Dove avvenne questo piccolo frammento di storia? Oramai lo avrete immaginato, quindi a Piovene Rocchette, perché la vettura era stata ordinata nell’ottobre dell’anno precedente, quindi il 1892, dalla famiglia Rossi.
La storia di Piovene ci regala sempre tante sorprese, spesso legate ai periodi più antichi come la storia dei Girolimini e ancor più ancestrali come le origini del Monte Summano e i tanti riti che venivano praticati nella sua sommità.
Qui ci avviciniamo ai tempi moderni, ma è un fatto che la prima auto, in Italia, arrivò proprio a Piovene Rocchette. Per fortuna questa eredità storica è custodita da molti appassionati, che nel corso del tempo hanno costruito dei veri e propri musei dei motori, che raccontano non solo i modelli che si sono avvicendati nel corso del tempo, ma anche tutte le scoperte tecnologiche che hanno segnato e continuano a segnare l’universo dei motori.
Se la storia di Piovene ci rivela che sono passati 125 anni dall’arrivo della prima auto in Italia, è interessante per i cultori del genere sapere che esiste un galleria d’arte intitolata alla Peugeot. Si chiama Peugeot Galerie e ha sede a San Gimignano, splendida cittadina medioevale Toscana.
Dalla storia di Piovene all’auto come arte: la Galerie Peugeot
La Galerie compie quest’anno 10 anni ed è nata dalla sconfinata passione di Daniele Bellucci, appassionato di motori che è riuscito a collezionare circa 30 auto storiche Peugeot. La collezione è la prima ad essere nata fuori dai confini francesi e la prima italiana, riconosciuta e stimata dalla stessa casa madre, tanto che il vernissage venne al tempo affidato al presidente di Aventure Peugeot Thierry Peugeot, una fondazione che dal 1982 si occupa di raccogliere documenti, custodire i ricordi e tramandare la cultura di famiglia.
Ma quali sono i modelli esposti? Qualche nome per gli appassionati, perché alla Galerie Peugeot si possono ammirare meraviglie quali la la “Bébé” del 1916 e ancora la 201 del 1932 e la 202 del 1948 che è il primo modello ad essere uscito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La galleria permette ai visitatori di fare un bel viaggio nel corso del tempo, arrivando quasi ai giorni nostri con modelli iconici quali la Peugeot 104 Eco del 1983, che era stata realizzata appositamente per il mercato italiano.
Ecco che un pizzico di storia di Piovene può rispecchiarsi in questa galleria dedicata non solo agli appassionati della Peugeot, ma a tutti gli amanti delle auto e a chi le legge come delle vere e proprie opere d’arte, che meritano di essere ammirate, comprese, custodite e tramandate come gioielli preziosi.
Si sa, l’estate è la stagione più favorevole per le escursioni in montagna ma l’autunno ha un fascino particolare, che si legge nei boschi colorati di rosso e di giallo e nei panorami tersi che certe giornate di ottobre e novembre sanno regalare.
Ecco perché chi ama il trekking e può decidere di avventurarsi nel sentiero dei Girolimini anche in autunno, gustandosi tutti i colori che questa stagione riserva.
Il sentiero dei Girolimini può essere imboccato dalla scalinata che parte dalla piazza municipale di Piovene Rocchette e che sale verso la Birreria Vecia, dove un tempo si trovava il convento dei frati. Sulla sinistra si dirama quindi il sentiero che porta inizialmente al Santuario della Madonna dell’Angelo, che può essere raggiunto anche con la ripida strada asfaltata che costeggia il monte.
Il sentiero dei Girolimini è molto curato e, verso circa la metà, regala una bellissima visuale della Val d’Astico, nonché del versante meridionale dell’Altipiano di Asiago. La salita è interessante, abbastanza sostenuta e una prima pausa può essere fatta nel parcheggio del santuario della Madonna dell’Angelo.
Sulla sinistra si apre quindi il sentiero montano, che permette di salire il Monte Summano e di arrivare alla sella dove si trova il santuario della Madonna del Summano. Di grande bellezza è la parte che si dirama nel bosco che, in autunno, si tinge di mille colori offrendo a sprazzi delle visuali sulla Val d’Astico davvero mirabili. Nelle giornate più terse si possono vedere i colli Euganei e, con un pizzico di fortuna, anche il mare.
Una volta raggiunta la sella servono altri 100 metri di dislivello per raggiungere la vetta, percorrendo in questo caso un sentiero un po’ scosceso e arrivando alla statua in cemento del Cristo che si vede da valle.
Il sentiero dei Girolimini fra storia e presente
Il sentiero dei Girolimini è un’occasione speciale per scoprire le bellezze del Monte Summano, perché anche in autunno la sua flora è alquanto particolare. Più volte abbiamo letto di quanto speciali siano le erbe che qui crescono, perché la flora si lega all’origine probabilmente vulcanica di questa montagna.
Le erbe aromatiche venivano un tempo e tutt’oggi impiegate per preparare il liquore Girolimino, ma il Monte Summano è una vera e propria riserva di erbe commestibili e, per i più bravi e fortunati, anche di funghi.
Ma l’occasione è speciale perché permette di fare un bel tuffo nella storia, perché già in antichità vi erano delle mulattiere che raggiungevano la cima del monte. La più importante partiva da Piovene e dal suo borgo antico e veniva considerata una vera e propria strada di pellegrinaggio.
La storia si lega sicuramente ai due santuari che si incontrano lungo il percorso, quello ‘mediano’ della Madonna dell’Angelo e quello in vetta della Madonna del Summano. Già nel 1452 il santuario e l’eremo erano stati affidati ai frati di San Girolamo o frati Girolimini. Nel 1505 il santuario venne ingrandito e abbellito mentre nel frattempo i frati si insediarono a Piovene proprio dove ora sorge la Birreria Vecia fungendo da punto di appoggio per i pellegrini che si recavano in vista al santuario e allo stesso Monte Summano.
Tante vicissitudini si sono alternate nel corso dei secoli ma, per comprendere appieno la storia dei frati Girolimini, si può fare un salto al 1892 quando la chiesa del Summano verteva in cattive condizioni e venne ricostruita con forme settecentesche grazie alle donazioni dei fedeli del paese di Santorso e ai lasciti del senatore Rossi. I frati Girolimini vennero a quel tempo richiamati a Piovene e il senatore Rossi affidò loro una villa a Santorso, che venne trasformata in convento fino alla sospensione dell’ordine che avvenne nel 1933.
Questi sono i principali rimandi storici del sentiero dei Girolimini, un percorso che merita di essere fatto in tutte le stagioni, ma che in autunno acquista un’atmosfera decisamente speciale. Chi desidera avventurarsi può gustare una natura densa di colori, ricordandosi che al venerdì sera, al sabato sera e alla domenica per tutto il giorno la Birreria Vecia è aperta con pizzeria, bruschetteria e cucina!
Anche se la Birreria Vecia si concentra decisamente sulla birra e sui piatti della tradizione, oggi parliamo del Liquore Girolimino, una specialità storica tipica del paese di Piovene Rocchette e, in particolare, del Monte Summano.
Facciamo un bel salto nel tempo, al 1452, anno in cui i monaci Girolimini si insediarono nel Monte Summano e iniziarono la produzione di infusi e di decotti impiegando le abbondanti piante officinali che crescevano spontanee sul monte e offrendo i loro preparati ai pellegrini che si recavano in visita al santuario del monte.
Il Summano è da sempre considerato una montagna particolare come flora, perché vi crescono erbe e piante originali che sono difficili da trovare altrove. Alcuni affermano che la ragione di una flora così rara può essere ricercata nell’origine vulcanica del Summano e la storia racconta che le erbe spontanee officinali sono da sempre state impiegate nelle ricette in cucina e per preparare decotti tonificanti e rimedi medicamentosi.
Le prime informazioni certe sul liquore Girolimino risalgono al 1894, anno in cui inizia la preparazione del macerato delle erbe in spirito, prodotto seguendo una ricetta rimasta segreta nel corso del tempo.
Passano gli anni e il liquore Girolimino, complice l’aiuto del farmacista Zanella, inizia a diffondersi e riceve prestigiosi premi, quali la Medaglia d’Oro all’Expo di Parigi nel lontano 1900. La storia prosegue e nel 1949 un padre Girolimino cede al farmacista Zanella la ricetta segreta e i diritti di fabbricazione del liquore.
Ancor oggi il Girolimino viene prodotto seguendo l’antica ricetta, seppur adeguandosi leggermente nel contenuto zuccherino. Alla sua base vi sono loro, le erbe officinali, protagoniste indiscusse di un liquore consigliato come digestivo e come tonico, da assumere a fine pasto o quando si ricerca una bevanda dall’effetto corroborante.
Il Liquore Girolimino è oggi protagonista di cocktail e dolci
L’evoluzione dei tempi moderni ha indotto i produttori a proporre delle varianti molto interessanti, che presentano il liquore Girolimino in aggiunta i dolci secchi e ai biscotti. Si tratta di golosità che possono essere gustate in compagnia e anche donate alle persone che non conoscono la storia del luogo e del Monte Summano.
Il Liquore Girolimino viene inoltre impiegato nella preparazione di alcuni cocktail, perché il suo sapore erbaceo e molto particolare ben si sposa per diventare protagonista di fantasiose preparazioni da gustare come aperitivo o after dinner.
Di strada il Liquore Girolamino ne ha fatta tanta e il legame con la Birreria Vecia è alquanto forte. La sede dell’attuale Birreria era, infatti dislocata dove si trovavano un tempo i monaci Girolimini e qui essi producevano la birra sfruttando la fresca acqua di sorgente.
Allo stesso modo, l’acqua pura e le preziose erbe officinali raccolte sul monte erano i preziosi ingredienti del Liquore Girolimino, una preparazione che ancor oggi affascina e piace a molte persone per il suo colore brillante e il suo sapore così speciale.
La storia della birra ci regala delle sorprese molto interessanti, soprattutto se facciamo un bel viaggio nel tempo. Atterriamo quindi nel Medioevo, epoca storica per certi versi oscura, ma che ha visto sicuramente diffondersi e prosperare il consumo di birra, soprattutto nel nord Europa.
In questo periodo, come del resto accadeva nell’antica Mesopotamia, la preparazione della birra era affidata alle donne che, in questo modo, potevano provvedere sia al consumo interno della famiglia, che dare vita a un vero e proprio micro-commercio, abile nel garantire una costante entrata mensile. Queste entrate erano vitali nel caso di vedovanza, perché non dobbiamo dimenticarci che il Medioevo fu un’era di grandi battaglie, quindi le donne rimanevano vedove di frequente e solitamente erano molto giovani quando ciò accadeva.
Le leggi germaniche erano molto chiare in merito, perché decretavano che il materiale di ‘brassaggio’ era proprietà della donna e faceva parte della sua dote. In Gran Bretagna le donne che producevano la birra e la commercializzavano venivano chiamate ‘Ale Wives‘ e questo termine era usato per indicare le birraie e anche le ostesse.
Ma le donne del Medioevo erano già avanti con i tempi e, in molti casi, si organizzavano in common, piccole reti commerciali alle quali erano collegate delle micro fabbriche artigianali di birra. I common erano fuori dai circuiti commerciali più conosciuti, ma rappresentavano una solida realtà nella storia della birra e del commercio di questa bevanda dei paesi nordici nel Medioevo.
Storia della Birra: il centro era il Monastero
Come rivela anche la posizione della Birreria Vecia, legata alla produzione della birra da parte dei Monaci Girolimini, i monasteri erano i centri operativi della produzione della bevanda. Si trattava di oasi di pace , che non erano sfiorati da contesti bellicosi. In questi luoghi i monaci producevano la birra sfruttando le sorgenti di acqua fresca naturale e impiegavano le erbe aromatiche autoctone per generare bevande particolari e uniche da luogo a luogo. Ma se gli abati poteva essere considerati i ‘mastri birrai’, è interessante notare che erano le monache le persone addette alla produzione della birra.
Proprio così, perché le monache si occupavano della produzione e anche della distribuzione della bevanda ai viandanti, ai malati e alle persone. Alcuni centri di produzione divennero talmente floridi che riuscirono a garantire l’autosufficienza economica ai monasteri e agli attigui conventi. Nel corso del tempo anche i Monasteri iniziarono ad ‘esportare’ la birra fuori dalle loro mura e, più in la con gli anni, nacquero le corporazioni commerciali. E’ curioso notare che ella sola Amburgo nel 1376 erano 457 i birrai attivi nel territorio…
Una donna ha aggiunto per prima il luppolo
La storia della birra si tinge ancora una volta di rosa perché è all’interno dei monasteri che venne introdotta una grande novità nella preparazione della bevanda. Si tratta dell’impiego del luppolo, che cominciò ad essere impiegato come aromatizzante e come conservante. ‘Lupellare’ il mosto fu una pratica diffusa fin dal dodicesimo secolo e il processo venne inventato da una suora.
Si tratta di Suor Hildegard von Bingen, nata nel 1098 e scomparsa nel 1179 che viveva nel monastero di St. Rupertsberg in Germania. Suor Hildegard documentò con precisione nei suo scritti come il luppolo riuscisse a fermare il degrado della birra e permettesse di conservarla più a lungo. Dal monastero di St. Rupertsberg, l’impiego della pianta si diffuse nella Boemia e nell’Olanda, per sbarcare in Inghilterra verso al fine del sedicesimo secolo.
Ecco che la storia della birra rivela dei retroscena alquanto affascinanti per quanto riguarda il coinvolgimento femminile nella preparazione, nel raffinamento e anche nella distribuzione della bevanda. I documenti storici riportano, infatti, testimonianze di un lavoro prettamente femminile, che iniziava con la produzione e si sviluppava con un florido commercio, ben organizzato e definito in ogni dettaglio.
Affrontiamo oggi un argomento di grande attualità: il rapporto con il cibo in relazione alla crisi economica. Non possiamo nascondere la testa sottoterra come gli struzzi, perché la crisi ha sicuramente cambiato il nostro modo di pensare alla nutrizione, alcune volte in meglio, altre in peggio.
Già, proprio così, perché il minore reddito a disposizione ha indotto il consumatore a rivoluzionare il suo ‘ordine di priorità’.
Si tratta di una conseguenza normale, perché la crisi ha generato una forte caduta dei consumi, anche quelli alimentari, che solitamente reggono meglio, anzi restano stabili o addirittura aumentano.
Gli economisti chiamano questo fenomeno ‘anticiclico’, perché si tratta di un comportamento ben definito e che ha alla sua base la sopravvivenza del persone.
Ma cerchiamo di capire cosa è successo.
Quando c’è una situazione di benessere diffuso lo sviluppo dei consumi alimentari passa attraverso delle fasi precise.
Se i redditi crescono, cresce anche il consumo, un po’ come è successo negli anni del dopoguerra e del grande boom economico.
In questi periodi regnavano l’abbondanza e anche un’immagine pubblicitaria opulenta, che si rivolgeva a cibi costosi, come le carni, i salumi, le eccellenze, le primizie e così via.
Pensiamo alla bistecca.
Molti di noi si saranno sentiti dire che in tavola, da piccoli la bistecca non c’era, non esisteva. Esistevano il pollo di cortile, gli ossibuchi, le riserve di maiale nelle famiglie che se la passavano meglio.
Poi la bistecca è entrata a fare parte della dieta alimentare più classica e oggi è un piatto normalissimo della cucina familiare.
Poi sono nate le variazioni, quindi l’introduzione degli alimenti sani dal punto di vista nutritivo e i cibi etnici, in un incrocio di fattori e di eventi storici che ha mutato al dieta del paese.
Dagli ossibuchi siamo arrivati al kebab, in un processo naturale di sviluppo e di progressione civile.
Rapporto con il cibo: diamo i numeri
La crisi ha cambiato completamente il rapporto con il cibo degli italiani. Da un periodo di prosperità e di abbondanza si è passati a una fase di riserva.
Gli economisti affermano che la spesa alimentare impegna il 16% in media delle risorse economiche familiari.
Questa percentuale potrebbe stupire, soprattutto se la confrontiamo con quella degli anni ’50, quando la voce di spesa per gli alimenti era del 50%. Oggi incidono la casa, l’automobile, anche la scuola e i corsi.
La spesa al supermercato non è fra i primi costi da sostenere in termini di rilevanza, ma è quella fondamentale, perché se non mangiamo e non beviamo non possiamo sopravvivere.
Come ha cambiato i consumi la crisi? Gli studiosi affermano che, per la prima volta, si è verificata una situazione di anti-ciclicità.
In un primo momento, negli anni più preoccupanti, le persone si sono rivolte al risparmio assoluto e questo fatto ha indotto alla nascita i numerose catene di discount, che hanno fatto fortuna e hanno sicuramente contribuito a decretare le difficoltà di molti esercizi commerciali di piccole dimensioni.
Del resto, è importante affrontare la realtà a viso aperto.
Un piccolo esercizio può vendere un etto di prosciutto a 2 euro e ancora si trova ‘a filo’ nei guadagni.
La grande distribuzione, soprattutto se regolata dalle norme del discount, lo può vendere a meno della metà.
E’ quindi naturale che il consumatore con meno disponibilità di reddito si rivolga a queste realtà. Ma c’è molto altro da scoprire…
La crisi ha migliorato il rapporto con il cibo
Proprio così, la crisi ha saputo migliorare il rapporto con il cibo, basta analizzarlo in senso lato. Sicuramente vi sono stati anni bui di scorte alimentari a basso costo, di ricerche intense all’offerta più conveniente, ma al contempo è nata una fortissima ricerca della qualità e una tendenza a scegliere cibi buoni e salutari.
La popolazione, in altri termini, ha saputo maturare la convinzione che il cibo deve essere di qualità, magari scelto in quantità minori, ma buono. Si tratta di una tendenza anti-ciclica, ma che si è affermata soprattutto negli ultimi anni.
Non ci spiegheremmo, altrimenti, perché le aziende lanciano continuamente prodotti bio, senza olio di palma, senza additivi e chi più ne ha più ne metta.
La riposta va ricercata nell’attenzione dei consumatori che è alta, molto più alta rispetto ai periodi quando a queste cose ci si poteva pensare a cuor leggero.
La crisi ha quindi aperto le porte all’innovazione, complici le migliorie che sono state potare nel settore dell’allevamento e dell’agricoltura.
Produrre biologico o biodinamico, scegliere aziende che lavorano sull’organica e che usano prodotti locali è una tendenza che coinvolge molto persone e che decreta un rinnovato rapporto con il cibo: fondato sull’attenzione e sull’innovazione.