Tempo di crisi: come cambia il rapporto con il cibo?

Tempo di crisi: come cambia il rapporto con il cibo?

Affrontiamo oggi un argomento di grande attualità: il rapporto con il cibo in relazione alla crisi economica. Non possiamo nascondere la testa sottoterra come gli struzzi, perché la crisi ha sicuramente cambiato il nostro modo di pensare alla nutrizione, alcune volte in meglio, altre in peggio.

Già, proprio così, perché il minore reddito a disposizione ha indotto il consumatore a rivoluzionare il suo ‘ordine di priorità’.

Si tratta di una conseguenza normale, perché la crisi ha generato una forte caduta dei consumi, anche quelli alimentari, che solitamente reggono meglio, anzi restano stabili o addirittura aumentano.

Gli economisti chiamano questo fenomeno ‘anticiclico’, perché si tratta di un comportamento ben definito e che ha alla sua base la sopravvivenza del persone.

Ma cerchiamo di capire cosa è successo.

Quando c’è una situazione di benessere diffuso lo sviluppo dei consumi alimentari passa attraverso delle fasi precise.

Se i redditi crescono, cresce anche il consumo, un po’ come è successo negli anni del dopoguerra e del grande boom economico.

In questi periodi regnavano l’abbondanza e anche un’immagine pubblicitaria opulenta, che si rivolgeva a cibi costosi, come le carni, i salumi, le eccellenze, le primizie e così via.

Pensiamo alla bistecca.

Molti di noi si saranno sentiti dire che in tavola, da piccoli la bistecca non c’era, non esisteva. Esistevano il pollo di cortile, gli ossibuchi, le riserve di maiale nelle famiglie che se la passavano meglio.

Poi la bistecca è entrata a fare parte della dieta alimentare più classica e oggi è un piatto normalissimo della cucina familiare.

Poi sono nate le variazioni, quindi l’introduzione degli alimenti sani dal punto di vista nutritivo e i cibi etnici, in un incrocio di fattori e di eventi storici che ha mutato al dieta del paese.

Dagli ossibuchi siamo arrivati al kebab, in un processo naturale di sviluppo e di progressione civile.

crisi e rapporto con il cibo

Rapporto con il cibo: diamo i numeri

La crisi ha cambiato completamente il rapporto con il cibo degli italiani. Da un periodo di prosperità e di abbondanza si è passati a una fase di riserva.

Gli economisti affermano che la spesa alimentare impegna il 16% in media delle risorse economiche familiari.

Questa percentuale potrebbe stupire, soprattutto se la confrontiamo con quella degli anni ’50, quando la voce di spesa per gli alimenti era del 50%. Oggi incidono la casa, l’automobile, anche la scuola e i corsi.

La spesa al supermercato non è fra i primi costi da sostenere in termini di rilevanza, ma è quella fondamentale, perché se non mangiamo e non beviamo non possiamo sopravvivere.

Come ha cambiato i consumi la crisi? Gli studiosi affermano che, per la prima volta, si è verificata una situazione di anti-ciclicità.

In un primo momento, negli anni più preoccupanti, le persone si sono rivolte al risparmio assoluto e questo fatto ha indotto alla nascita i numerose catene di discount, che hanno fatto fortuna e hanno sicuramente contribuito a decretare le difficoltà di molti esercizi commerciali di piccole dimensioni.

Del resto, è importante affrontare la realtà a viso aperto.

Un piccolo esercizio può vendere un etto di prosciutto a 2 euro e ancora si trova ‘a filo’ nei guadagni.

La grande distribuzione, soprattutto se regolata dalle norme del discount, lo può vendere a meno della metà.

E’ quindi naturale che il consumatore con meno disponibilità di reddito si rivolga a queste realtà. Ma c’è molto altro da scoprire…

Italiani e rapporto con il cibo

La crisi ha migliorato il rapporto con il cibo

Proprio così, la crisi ha saputo migliorare il rapporto con il cibo, basta analizzarlo in senso lato. Sicuramente vi sono stati anni bui di scorte alimentari a basso costo, di ricerche intense all’offerta più conveniente, ma al contempo è nata una fortissima ricerca della qualità e una tendenza a scegliere cibi buoni e salutari.

La popolazione, in altri termini, ha saputo maturare la convinzione che il cibo deve essere di qualità, magari scelto in quantità minori, ma buono. Si tratta di una tendenza anti-ciclica, ma che si è affermata soprattutto negli ultimi anni.

Non ci spiegheremmo, altrimenti, perché le aziende lanciano continuamente prodotti bio, senza olio di palma, senza additivi e chi più ne ha più ne metta.

La riposta va ricercata nell’attenzione dei consumatori che è alta, molto più alta rispetto ai periodi quando a queste cose ci si poteva pensare a cuor leggero.

La crisi ha quindi aperto le porte all’innovazione, complici le migliorie che sono state potare nel settore dell’allevamento e dell’agricoltura.

Produrre biologico o biodinamico, scegliere aziende che lavorano sull’organica e che usano prodotti locali è una tendenza che coinvolge molto persone e che decreta un rinnovato rapporto con il cibo: fondato sull’attenzione e sull’innovazione.