Il parcheggio in Birreria Vecia è sempre stato un problema, forse non per i residenti dei comuni vicini e dello stesso borgo di Piovene che, conoscendo il territorio sanno dove lasciare la macchina e come muoversi a piedi.
Ma chi arriva da fuori e non conosce il paese può avere qualche difficoltà a trovare parcheggio in Birreria Vecia e, aiuto aiuto, arrabbiarsi e rattristarsi perché non sa dove lasciare la macchina e come muoversi per raggiungere il locale.
Noi non vogliamo che questo accada! Perché il parcheggio in Birreria Vecia c’è, ma bisogna trovarlo e perché, per sua natura, la Birreria è arroccata nella parte alta del paese e incastonata fra le case e gli edifici storici di Piovene.
Vediamo quindi quali sono i parcheggi della Birreria più comodi e quali sono i percorsi che possiamo fare per trovare posto, anche nelle serate più calde, quando i parcheggi più vicini al locale possono già essere pieni.
Parcheggio in Birreria Vecia: iniziamo dai ‘classici’
Il parcheggio in via Levrena
Il parcheggio più classico è quello dislocato in via Levrena, uno spazio che si trova proprio sotto alla birreria. Questo parcheggio non è, purtroppo, molto ampio ed è spesso affollato, ma tentar non nuoce. Per raggiungerlo basta percorrere ViaLibertà, la via centrale del paese. Ad un certo punto, la strada comincia a stringersi e ci si trova in una piccola piazzetta, con un negozio di alimentari sulla destra. A questo punto parte via Delle Fonti e si deve girare a destra, salendola tutta. In cima si trova il parcheggio di via Levrena e quindi la Birreria Vecia.
Parcheggio di via Levrena pieno?
Ok, se questo parcheggio è pieno le possibilità sono due.
La prima è di tornare indietro e di lasciare la macchina lungovia Libertà, magari all’altezza del municipio negli spazi che si trovano lateralmente. In alternativa c’è il piccolo ma vicino parcheggio di via Papiria e quello nascosto che si trova sotto a un portico, sempre in via Libertà, vedi le foto sotto.
Parcheggi in via Libertà
Parcheggio nascosto in Via Libertà
Parcheggio in Piazza Papiria
Per tornare indietro bisogna rifare il giro del paese, quindi concludere tutta via Libertà, girare a sinistra, proseguire dritto fino alla prima piccola rotonda e girare a sinistra, ovvero girare attorno al paese un’altra volta per ritornare nel centro storico.
La seconda possibilità è di girare a destra nella piccola via che si trova ad angolo con via Ospizio ( quella con la scalinata), di percorrerla e quindi di girare a sinistra, raggiungendo il parcheggio di via Ceriotti, il più grande e comodo per raggiungere la Birreria, perché basta attraversare la stradina e ci si trova già nel parco del locale.
Questo parcheggio può essere raggiunto anche da via Libertà. All’altezza del comune si sale a destra e si prende questa stradina che si chiama via Ceriotti e la si percorre. Sulla destra si trova il parcheggio, indicato dalla P sullo sfondo azzurro.
Parcheggio in Birreria e se facciamo due passi?
C’è chi non ha tempo da perdere e chi, invece, desidera prendersela comoda. Se fate parte di questo secondo gruppo il consiglio è di lasciare la macchina nel parcheggio delle scuole di Piovene in via Vittoria, che si trova in centro, lungo la via dove ci sono tutti i negozi.
Parcheggio in Piazzale Vittoria
Questo parcheggio è davvero spazioso e la Birreria Vecia si può raggiungere in 5 minuti di cammino. Una volta lasciata la macchina in questo parcheggio basta, infatti, percorrere via Libertà e girare a destra in via Ceriotti per raggiungere la Birreria Vecia, o anche salire prima, sempre girando a destra e ricongiungersi con la stradina che porta al locale.
Un altro percorso molto semplice chiede di girare subito a destra a piedi per via Forziana, quindi imboccare via Castel Manduca e arrivare alla Birreria Vecia percorrendo la parte alta del paese. Questo percorso è romantico, soprattutto alla sera e permette di fare una bella passeggiata, perché i lampioncini di ferro battuto e le case arroccate del paese sono uno spettacolo da non perdere.
In ogni caso, trovare parcheggio in Birreria è più semplice di quanto possiamo pensare, perché le distanze sono davvero ridotte. Tutti i parcheggi sono ben spiegati con mappa e foto in questa pagina Parcheggio in Birreria.
La storia della birra ci regala delle sorprese molto interessanti, soprattutto se facciamo un bel viaggio nel tempo. Atterriamo quindi nel Medioevo, epoca storica per certi versi oscura, ma che ha visto sicuramente diffondersi e prosperare il consumo di birra, soprattutto nel nord Europa.
In questo periodo, come del resto accadeva nell’antica Mesopotamia, la preparazione della birra era affidata alle donne che, in questo modo, potevano provvedere sia al consumo interno della famiglia, che dare vita a un vero e proprio micro-commercio, abile nel garantire una costante entrata mensile. Queste entrate erano vitali nel caso di vedovanza, perché non dobbiamo dimenticarci che il Medioevo fu un’era di grandi battaglie, quindi le donne rimanevano vedove di frequente e solitamente erano molto giovani quando ciò accadeva.
Le leggi germaniche erano molto chiare in merito, perché decretavano che il materiale di ‘brassaggio’ era proprietà della donna e faceva parte della sua dote. In Gran Bretagna le donne che producevano la birra e la commercializzavano venivano chiamate ‘Ale Wives‘ e questo termine era usato per indicare le birraie e anche le ostesse.
Ma le donne del Medioevo erano già avanti con i tempi e, in molti casi, si organizzavano in common, piccole reti commerciali alle quali erano collegate delle micro fabbriche artigianali di birra. I common erano fuori dai circuiti commerciali più conosciuti, ma rappresentavano una solida realtà nella storia della birra e del commercio di questa bevanda dei paesi nordici nel Medioevo.
Storia della Birra: il centro era il Monastero
Come rivela anche la posizione della Birreria Vecia, legata alla produzione della birra da parte dei Monaci Girolimini, i monasteri erano i centri operativi della produzione della bevanda. Si trattava di oasi di pace , che non erano sfiorati da contesti bellicosi. In questi luoghi i monaci producevano la birra sfruttando le sorgenti di acqua fresca naturale e impiegavano le erbe aromatiche autoctone per generare bevande particolari e uniche da luogo a luogo. Ma se gli abati poteva essere considerati i ‘mastri birrai’, è interessante notare che erano le monache le persone addette alla produzione della birra.
Proprio così, perché le monache si occupavano della produzione e anche della distribuzione della bevanda ai viandanti, ai malati e alle persone. Alcuni centri di produzione divennero talmente floridi che riuscirono a garantire l’autosufficienza economica ai monasteri e agli attigui conventi. Nel corso del tempo anche i Monasteri iniziarono ad ‘esportare’ la birra fuori dalle loro mura e, più in la con gli anni, nacquero le corporazioni commerciali. E’ curioso notare che ella sola Amburgo nel 1376 erano 457 i birrai attivi nel territorio…
Una donna ha aggiunto per prima il luppolo
La storia della birra si tinge ancora una volta di rosa perché è all’interno dei monasteri che venne introdotta una grande novità nella preparazione della bevanda. Si tratta dell’impiego del luppolo, che cominciò ad essere impiegato come aromatizzante e come conservante. ‘Lupellare’ il mosto fu una pratica diffusa fin dal dodicesimo secolo e il processo venne inventato da una suora.
Si tratta di Suor Hildegard von Bingen, nata nel 1098 e scomparsa nel 1179 che viveva nel monastero di St. Rupertsberg in Germania. Suor Hildegard documentò con precisione nei suo scritti come il luppolo riuscisse a fermare il degrado della birra e permettesse di conservarla più a lungo. Dal monastero di St. Rupertsberg, l’impiego della pianta si diffuse nella Boemia e nell’Olanda, per sbarcare in Inghilterra verso al fine del sedicesimo secolo.
Ecco che la storia della birra rivela dei retroscena alquanto affascinanti per quanto riguarda il coinvolgimento femminile nella preparazione, nel raffinamento e anche nella distribuzione della bevanda. I documenti storici riportano, infatti, testimonianze di un lavoro prettamente femminile, che iniziava con la produzione e si sviluppava con un florido commercio, ben organizzato e definito in ogni dettaglio.
Affrontiamo oggi un argomento di grande attualità: il rapporto con il cibo in relazione alla crisi economica. Non possiamo nascondere la testa sottoterra come gli struzzi, perché la crisi ha sicuramente cambiato il nostro modo di pensare alla nutrizione, alcune volte in meglio, altre in peggio.
Già, proprio così, perché il minore reddito a disposizione ha indotto il consumatore a rivoluzionare il suo ‘ordine di priorità’.
Si tratta di una conseguenza normale, perché la crisi ha generato una forte caduta dei consumi, anche quelli alimentari, che solitamente reggono meglio, anzi restano stabili o addirittura aumentano.
Gli economisti chiamano questo fenomeno ‘anticiclico’, perché si tratta di un comportamento ben definito e che ha alla sua base la sopravvivenza del persone.
Ma cerchiamo di capire cosa è successo.
Quando c’è una situazione di benessere diffuso lo sviluppo dei consumi alimentari passa attraverso delle fasi precise.
Se i redditi crescono, cresce anche il consumo, un po’ come è successo negli anni del dopoguerra e del grande boom economico.
In questi periodi regnavano l’abbondanza e anche un’immagine pubblicitaria opulenta, che si rivolgeva a cibi costosi, come le carni, i salumi, le eccellenze, le primizie e così via.
Pensiamo alla bistecca.
Molti di noi si saranno sentiti dire che in tavola, da piccoli la bistecca non c’era, non esisteva. Esistevano il pollo di cortile, gli ossibuchi, le riserve di maiale nelle famiglie che se la passavano meglio.
Poi la bistecca è entrata a fare parte della dieta alimentare più classica e oggi è un piatto normalissimo della cucina familiare.
Poi sono nate le variazioni, quindi l’introduzione degli alimenti sani dal punto di vista nutritivo e i cibi etnici, in un incrocio di fattori e di eventi storici che ha mutato al dieta del paese.
Dagli ossibuchi siamo arrivati al kebab, in un processo naturale di sviluppo e di progressione civile.
Rapporto con il cibo: diamo i numeri
La crisi ha cambiato completamente il rapporto con il cibo degli italiani. Da un periodo di prosperità e di abbondanza si è passati a una fase di riserva.
Gli economisti affermano che la spesa alimentare impegna il 16% in media delle risorse economiche familiari.
Questa percentuale potrebbe stupire, soprattutto se la confrontiamo con quella degli anni ’50, quando la voce di spesa per gli alimenti era del 50%. Oggi incidono la casa, l’automobile, anche la scuola e i corsi.
La spesa al supermercato non è fra i primi costi da sostenere in termini di rilevanza, ma è quella fondamentale, perché se non mangiamo e non beviamo non possiamo sopravvivere.
Come ha cambiato i consumi la crisi? Gli studiosi affermano che, per la prima volta, si è verificata una situazione di anti-ciclicità.
In un primo momento, negli anni più preoccupanti, le persone si sono rivolte al risparmio assoluto e questo fatto ha indotto alla nascita i numerose catene di discount, che hanno fatto fortuna e hanno sicuramente contribuito a decretare le difficoltà di molti esercizi commerciali di piccole dimensioni.
Del resto, è importante affrontare la realtà a viso aperto.
Un piccolo esercizio può vendere un etto di prosciutto a 2 euro e ancora si trova ‘a filo’ nei guadagni.
La grande distribuzione, soprattutto se regolata dalle norme del discount, lo può vendere a meno della metà.
E’ quindi naturale che il consumatore con meno disponibilità di reddito si rivolga a queste realtà. Ma c’è molto altro da scoprire…
La crisi ha migliorato il rapporto con il cibo
Proprio così, la crisi ha saputo migliorare il rapporto con il cibo, basta analizzarlo in senso lato. Sicuramente vi sono stati anni bui di scorte alimentari a basso costo, di ricerche intense all’offerta più conveniente, ma al contempo è nata una fortissima ricerca della qualità e una tendenza a scegliere cibi buoni e salutari.
La popolazione, in altri termini, ha saputo maturare la convinzione che il cibo deve essere di qualità, magari scelto in quantità minori, ma buono. Si tratta di una tendenza anti-ciclica, ma che si è affermata soprattutto negli ultimi anni.
Non ci spiegheremmo, altrimenti, perché le aziende lanciano continuamente prodotti bio, senza olio di palma, senza additivi e chi più ne ha più ne metta.
La riposta va ricercata nell’attenzione dei consumatori che è alta, molto più alta rispetto ai periodi quando a queste cose ci si poteva pensare a cuor leggero.
La crisi ha quindi aperto le porte all’innovazione, complici le migliorie che sono state potare nel settore dell’allevamento e dell’agricoltura.
Produrre biologico o biodinamico, scegliere aziende che lavorano sull’organica e che usano prodotti locali è una tendenza che coinvolge molto persone e che decreta un rinnovato rapporto con il cibo: fondato sull’attenzione e sull’innovazione.
Può un prodotto di largo consumo come la birra Corona schierarsi contro la presa di posizione del potere? La risposta è positiva e il fatto è accaduto alcune settimane fa con lo spot che ha celebrato le origini multietniche del brand, ribadendo la sua posizione in merito alla chiusura delle frontiere americane.
Al di là delle facili interpretazioni che possono nascere da questo video, ciò che merita di essere considerata è la presa di posizione e lo strumento impiegato per ribadirla.
La birra Corona Extra è una potenza internazionale, un brand che nasce nel 1925 in Messico e che si espande nel corso dei decenni in tutto il mondo, diventando il simbolo del bere ‘leggero’. Nel 1976 la birra Corona sbarca negli States e registra un successo immediato, diventando in pochi anni un’icona di stile.
I giudizi sulla qualità della birra Corona sono decisamente personali, perché ci sono persone che trovano questa bevenda troppo leggera, altri che invece la eleggono a compagna ideale nel corso delle serate estive e in occasione dei momenti conviviali. Oggi ci concentriamo sul potere della comunicazione e sul coraggio che il brand ha dimostrato di avere nella sua presa di posizione ‘anti frontiera.
Birra Corona: uno spot che rivendica le radici multietniche della vera ‘America’
Cuore pulsante dello spot della birra Corona è la frase ‘Perché l’America è sempre stata grande”. Si tratta di un gioco verbale che si contrappone al ‘Make America Great Again‘ che ha accompagnato la campagna elettorale presidenziale negli Stati Uniti. Il video si propone quindi di celebrare l’orgoglio di essere americani, ovvero di essere nativi di un continente dove i popoli si incontrano e si intrecciano da lungo tempo.
La volontà dichiarata è lessicale, ovvero lo spot chiede di restituire alla parola ‘America’ il significato corretto, ovvero non solo quello di Stati Uniti, ma di intero continente americano. Non a caso, lo spot mostra immagini ed evoca popoli che appartengono anche all’America del Nord con il Canada, all’America Centrale e all’America Latina.
E poi c’è la call to action o l’invito all’azione, che nello spot va ricercata nell’imperativo “Desfronterizate”. Si tratta di un invito ad abbandonare la logica delle frontiere. Un aspetto linguistico che forse al popolo italiano può sfuggire è che le parole vengono pronunciate da uno speaker con chiarissime influenze centroamericane.
Lo spot ricorda che sono 35 gli stati che appartengono al continente americano, ribadendo che non può un unico stato vantarsi di essere ‘l’America’, perché stiamo parlando di un continente molto più ampio e multietnico di quanto dichiarato.
Birra Corona: un cambio di rotta nella comunicazione
Come accennato, non è questa la sede per valutare la bontà e il pregio della birra Corona, ma è interessante riconoscere che il brand di birra ha saputo dimostrare coraggio nell’affermare dei concetti che, molto probabilmente, meritavano di essere sollevati nel post elezioni degli Stati Uniti.
Dichiarando che l’America ‘ è sempre stata grande’ e inneggiando al ‘desfronterizate’,il marchio di birra non si è semplicemente posto dalla parte dei latinos, come apparentemente può sembrare, ma di tutte le minoranze che possono essere oscurate da potenze economiche più grandi di loro. Inno alla libertà? Forse, ma soprattutto inno al rispetto, che alcuni popoli meritano di vedersi riconosciuto in nome di una storia millenaria.
Lo spot della birra Corona ha fatto molto scalpore non solo per il suo contenuto, ma anche perché i consumatori erano stati da sempre abituati a modelli di pubblicità che inneggiavano al sole, al divertimento e alla night life. Il cambio di rotta ha quindi dimostrato che il brand ha scelto di prendere posizione sui temi più attuali, dimenticando per un momento la sua veste più leggera per schierarsi apertamente verso decisioni politiche e sociali di impatto mondiale.